PAROLE DELLA LETTERATURA

caccia


Caccia. In letteratura il termine indica un componimento lirico-musicale di origine francese, in metro vario, diffusosi in Italia e in Europa tra il XIV e il XVII secolo. È di solito costituito da versi brevi concepiti per essere cantati a più voci. Tratta temi legati alla caccia e alle feste, ma descrive spesso anche scene di folla, come incendi o tumulti, fiere e mercati. Il genere fu trattato in Italia soprattutto da Franco Sacchetti e dal Poliziano.

Storicamente la caccia è una delle prime attività praticate dall’uomo per il proprio sostentamento e caratterizza le società primitive; prima dell’avvento dell’agricoltura, insieme alla raccolta di frutti, erbe e radici spontanei garantiva la sopravvivenza dei popoli preistorici, che praticavano il nomadismo per seguire i movimenti e le migrazioni degli animali. Anche quando, in seguito, la sedentarizzazione fu un fatto compiuto, dopo che furono sorti i primi villaggi e quando già si praticavano l’agricoltura e l’allevamento del bestiame, la caccia continuò a offrire un’importante integrazione alla dieta alimentare. Le scene di caccia sono tra le prime rappresentazioni figurate che siano giunte fino a noi dalla preistoria, dipinte sulle pareti delle caverne o incise nella pietra.

Dopo le epoche preistoriche, nel mondo occidentale la caccia fu praticata abitualmente in Grecia, come testimonia soprattutto la letteratura. I protagonisti dei poemi epici sono spesso impegnati in battute di caccia, e alcune popolazioni, specie in Arcadia, in Tracia, in Tessaglia, hanno nella caccia una delle loro attività principali. Molti accorgimenti e strumenti usati nell’attività venatoria (la cui divinità protettrice era Artemide, per i latini Diana) erano attribuiti all’inventiva di personaggi mitici, come Aristeo, inventore delle reti e delle trappole per catturare gli animali, o il Centauro Chirone, che insegnò l’arte venatoria ad Atteone, il quale proprio durante una battuta di caccia venne sbranato dai suoi cani. Il motivo della caccia compare inoltre in numerosi racconti della mitologia: Ulisse si era ferito a una gamba, da ragazzo, partecipando a una battuta di caccia (e grazie alla cicatrice di quella ferita la nutrice Euriclea lo riconoscerà quando egli farà ritorno a Itaca dopo la guerra di Troia); grandi cacciatori erano Eracle (che catturò il leone di Nemea, il toro di Creta, la cerva di Cerinea, il cinghiale di Erimanto) e Teseo, che cacciò il toro di Maratona; alla caccia si dedicavano di preferenza le combattive Amazzoni; Meleagro e l’eroina Atalanta si distinsero nella caccia al cinghiale di Calidone.

Tema centrale o motivo di sottofondo di numerosi racconti del mito, la caccia è comunque portatrice di valori simbolici anche in Oriente, soprattutto nel momento della massima fioritura della cultura assira, come è testimoniato dai rilievi del palazzo di Assurbanipal a Ninive (VII secolo a.C.), raffiguranti scene di caccia di cui sono protagonisti il sovrano e la sua corte; le grandi cacce, in particolare al leone, rappresentavano lo svago prediletto del sovrano e soprattutto ne esaltavano le virtù pressoché soprannaturali agli occhi dei sudditi, mettendo in risalto la sua superiorità fisica, il suo coraggio e le sue capacità di guerriero e condottiero.

Associata alla figura del sovrano, la caccia mantiene anche in epoche successive e in ambienti diversi un forte valore simbolico: da Alessandro Magno all’età tardoantica, il principe che abbatte le fiere assurge a una statura quasi divina, circondata da un’atmosfera mitica e religiosa (il sacrificio agli dèi è un momento importante della battuta di caccia, come testimoniano, tra l’altro, i tondi a rilievo dell’arco di Costantino, a Roma, o i mosaici della villa di Piazza Armerina, vicino a Enna in Sicilia). Nell’epoca imperiale romana poi la caccia acquisisce un ulteriore valore simbolico in ambito funerario e diventa un soggetto frequentemente scelto dagli scultori per decorare i sarcofagi.

La passione per la caccia perdura durante tutto il Medioevo e l’età moderna, come forma di svago dell’aristocrazia, ma anche come mezzo per arricchire la dieta alimentare e come esercizio preparatorio alla guerra, divenendo spesso oggetto di trattazione in composizioni letterarie e assumendo molti e complessi significati simbolici. Nel Medioevo la caccia si svolgeva con l’uso di cani oppure di rapaci addestrati, e in entrambi i casi si praticava a cavallo; solo in rare occasioni, per catturare lepri e conigli oppure animali nocivi, si faceva ricorso alle trappole. Le battute di caccia con i cani si svolgevano in aree delimitate e solitamente boscose; la caccia con i volatili invece aveva luogo in zone aperte, spesso anche coltivate, o vicino ai laghi e ai corsi d’acqua. Strumento essenziale del cacciatore, oltre alle armi, era il corno, destinato a ottenere un particolare risalto nella letteratura del tempo. Il più famoso è l’Olifante di Orlando, ma si possono ricordare anche il corno magico di Oberon nello Huon di Bordeaux o quello del Guillaume d’Angleterre.

Il legame tra caccia e aristocrazia è messo in evidenza in molti testi della letteratura medievale e moderna. Tra le innumerevoli opere che si potrebbero citare, ricordiamo il De arte venandi cum avibus (1260) dell’imperatore Federico II, raffinato trattato di falconeria; la novella di Federigo degli Alberighi nel Decameron di Boccaccio, con il sacrificio del falcone donato all’amata, che sancisce simbolicamente la fine della falconeria come pratica venatoria; la storia di Tristano e Isotta (XII-XIII secolo), nella quale Tristano, da cacciatore, diventa preda a causa del suo amore segreto per Isotta; il poema inglese Sir Gawain e il cavaliere verde ( XIV secolo), dove è descritta una feroce caccia al cinghiale; il sonetto Sonar bracchetti che fa parte delle Rime di Dante, dove la caccia è invece rifiutata perché «selvaggia dilettanza» in contrasto con la «leggiadria» del «gentil core» che prova amore; il poemetto La caccia di Diana del Boccaccio, che mette in scena una caccia immaginaria; per non parlare dei molti testi nei quali la caccia offre un amplissimo repertorio di similitudini e di metafore.

Nel Rinascimento la caccia diventa un fastosissimo e grandioso spettacolo, un elegante gioco di corte; e a partire da quel periodo si discute se il gentiluomo la debba praticare per mettere alla prova il proprio valore di guerriero (come osserva Baldassarre Castiglione nel Cortegiano), se essa possa avere qualche valore principalmente come esercizio fisico (come afferma Torquato Tasso nel dialogo Il padre di famiglia) o se abbia in sé qualcosa di bestiale e di violento (come sostengono, in forme diverse, Machiavelli nel Principe e Giordano Bruno nello Spaccio de la bestia trionfante); anche Thomas More, nell’Utopia, bandisce la caccia dal suo Paese ideale considerandola una manifestazione di gratuita ferocia, mentre nel Don Chisciotte Cervantes coinvolge la caccia nella sua parodia del romanzo cavalleresco.

Nel Settecento, in Inghilterra si afferma la tradizione tipicamente britannica della caccia alla volpe, intesa come una piacevole attività sportiva che il gentiluomo pratica a cavallo, senza uso di armi ma con una muta di cani: il cacciatore, che un tempo doveva dar prova di coraggio e vigore fisico, diventa un abile fantino che deve saper guidare i suoi cani ai quali è affidata la cattura della preda. Se fino al tardo Settecento in Europa la caccia rimane prerogativa quasi esclusiva dell’aristocrazia, dopo la Rivoluzione francese essa viene aperta a tutti, dietro pagamento di una modesta tassa per la licenza; nell’Ottocento ha assunto ormai la fisionomia che le è propria ancor oggi, di attività praticabile da chiunque abbia un regolare permesso, un fucile e un cane. Con queste caratteristiche, scene di caccia compaiono in un gran numero di romanzi e racconti dell’Otto e del Novecento, dal Cacciatore di Turgenev al Circolo Pickwick di Dickens, dalla Leggenda di san Giuliano Ospitaliere di Flaubert a varie novelle di Maupassant, per arrivare al Gattopardo di Tomasi di Lampedusa.

Un ruolo particolare assume la caccia nella letteratura otto-novecentesca americana: si svolge in grandiosi paesaggi fatti di immense praterie e fitte foreste, cioè nel regno della natura selvaggia (la wilderness), e vede contrapporsi due modi diversi di cacciare, quello degli indigeni, spesso a cavallo, eroici e spericolati, e quello del cacciatore bianco, che diventa una figura caratteristica dell’immaginario del Far West. Nella letteratura americana la caccia più straordinaria si svolge però non nelle praterie ma sul mare: è quella del capitano Achab all’inseguimento della balena bianca, nel Moby Dick di Melville, simbolica sfida dell’uomo al divino e al mistero dell’esistenza e del mondo.

Gli ultimi sviluppi del tema della caccia in letteratura si hanno con l’avvio della caccia grossa in Africa a seguito del colonialismo di fine Ottocento: in questa cornice la caccia è in molti casi un mezzo di sostentamento e una forma di difesa dalla ferocia degli animali più aggressivi; la sua massima celebrazione si legge nell’opera di Hemingway, che dedica alla caccia molte intense pagine.

La caccia è stata assunta anche dal cinema a modello interpretativo dell’esistenza, della violenza, del rapporto dell’uomo con la natura, confermando il proprio valore metaforico: basti pensare a Il cacciatore di Michael Cimino e a Caccia selvaggia di Peter Hunt.

 

Su questo sito usiamo i cookie. Se continui a navigare, lo fai secondo le regole spiegate qui. Altrimenti puoi consultare le preferenze sui cookie e decidere quali attivare.

Personalizza Cookie

Cookie tecnici sono assolutamente essenziali per il corretto funzionamento del sito web. Questi cookie garantiscono le funzionalità di base e le caratteristiche di sicurezza del sito web.

Sempre attivi


Cookie statistici ci aiutano a capire come gli utenti interagiscono con i siti web Loescher, raccogliendo dati di navigazione in forma aggregata e anonima.

Cookie per pubblicità mirata, possono essere impostati tramite il nostro sito dai nostri partner pubblicitari. Possono essere utilizzati da queste aziende per costruire un profilo dei tuoi interessi e mostrarti annunci pertinenti su altri siti. Non memorizzano direttamente informazioni personali, ma sono basati unicamente sull'individuazione del tuo browser e del tuo dispositivo internet. Se non si accettano questi cookie, riceverai una pubblicità meno mirata.