capitale finanziario


Capitale finanziario. Il concetto di «capitale finanziario» fu formulato dall’economista marxista austriaco Rudolf Hilferding (1877-1941) basandosi soprattutto su quanto avveniva in campo economico in Germania e nell’Impero austro-ungarico agli inizi del Novecento, quando una parte crescente del capitale bancario veniva investito nell’industria. Nell’opera Il capitale finanziario (1910) egli mise in luce la scissione tra proprietà del capitale e direzione della produzione, che doveva avere nei decenni successivi un rilievo sempre maggiore. Analizzò inoltre il potere di quegli azionisti che in una società finanziaria detengono il controllo delle operazioni possedendo solo una parte del pacchetto azionario, e possono avere un peso preponderante in più società contemporaneamente. Mise infine in evidenza il fenomeno della concentrazione del potere decisionale in poche mani e la conseguente formazione di un’aristocrazia del denaro e dell’industria che disponeva di fatto delle risorse di un’intera nazione. Hilferding considerò comunque essenziale per il nuovo assetto capitalistico il fatto che alla «banca commerciale» si affiancava o si sostituiva – soprattutto nell’area tedesca – la «banca mista» o di investimento industriale, che configurava la subordinazione dell’industria agli imperi finanziari.

Il rapporto fra banca e industria è oggetto di valutazioni diverse da parte degli storici e degli economisti. In primo luogo, tale rapporto non si dimostrò una spinta irreversibile e tendente in ogni Paese a un accentramento monopolistico sotto un unico organismo finanziario, come pensavano Hilferding e altri socialisti dell’epoca, ma mutò nei decenni successivi alla crisi del 1929, quando iniziarono i processi di autofinanziamento da parte delle imprese. Il predominio del capitale bancario fu piuttosto una fase transitoria dello sviluppo capitalistico. In secondo luogo, il rapporto banche-industria fu diverso nei vari Paesi. In Germania si realizzò effettivamente il dominio del capitale finanziario, attraverso la completa subordinazione delle industrie alle grandi banche. La stessa situazione si verificò negli Stati Uniti, dove negli anni Venti del Novecento si consolidarono gli «imperi dell’alta finanza» (dei Morgan, dei Rockefeller, della Bank of America, ecc.). In Francia, invece, istituti come il Crédit Mobilier e il Crédit Lyonnais incontrarono una certa difficoltà a penetrare nell’industria, e la partecipazione finanziaria esterna rimase abbastanza limitata: i capitali monetari si trasferirono piuttosto all’estero, finanziando per esempio in grande misura l’industrializzazione della Russia. In altri Paesi l’interdipendenza tra banca e industria mancò fino alla Prima guerra mondiale. In Italia gran parte del decollo industriale tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento fu sostenuto dalle banche di tipo nuovo, come la Banca commerciale e il Credito italiano, impegnate nella promozione dell’industrializzazione. I problemi che legano il capitale finanziario al funzionamento dell’economia capitalistica dei Paesi industrializzati sono tornati prepotentemente alla ribalta con la crisi economica della fine del primo decennio degli anni Duemila.

 

 

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