globalizzazione


Globalizzazione. È la denominazione del fenomeno per cui le economie e i mercati nazionali, grazie allo sviluppo delle telecomunicazioni e delle tecnologie informatiche, si sono resi sempre più interdipendenti, fino a diventare parte di un unico sistema mondiale (in tal senso si parla anche di mondializzazione). Il termine è entrato nell’uso a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, per indicare l’insieme dei fenomeni connessi con la crescita dell’integrazione economica, sociale e culturale tra le diverse aree del mondo; fenomeni che tendono a superare le barriere materiali e immateriali alla circolazione di persone, cose, informazioni, conoscenze e idee, e a uniformare le condizioni economiche, gli stili di vita e le visioni ideologiche, in particolare in conformità al modello occidentale metropolitano. L’Ocse (“Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico”) definisce la globalizzazione come «un processo attraverso il quale mercati e produzione nei diversi Paesi diventano sempre più interdipendenti, in virtù dello scambio di beni e servizi e del movimento di capitale e tecnologia». Sebbene il processo sia iniziato secoli fa, è a partire dagli anni Settanta del Novecento che ha subito una grande accelerazione, configurandosi come un fenomeno tuttora in corso.

La globalizzazione è stata spesso presentata come la panacea dei mali del mondo – soprattutto la povertà – dalle grandi organizzazioni internazionali di matrice neoliberista, ma è criticata e contrastata dalle organizzazioni della società civile perché accusata di delegare alle grandi multinazionali le sorti del Pianeta e di relegare il ruolo degli Stati a semplici esecutori dei voleri del mercato. Le recenti crisi economiche e finanziarie hanno sollevato nuovi interrogativi sulle politiche finora adottate in nome della globalizzazione.

Particolarmente critico nei confronti della globalizzazione, considerata una fonte di iniquità tra il Nord e il Sud del mondo, oltre che nell’ambito delle singole società nazionali, è stato il movimento dei No-global che ha posto sotto accusa lo strapotere delle industrie, delle istituzioni e degli enti ad essa connessi (multinazionali; Fmi, “Fondo monetario internazionale”; Wto, “World trade organization”). I suoi militanti, per quanto appartenenti a culture diverse (organizzazioni non governative, gruppi pacifisti, sindacati, associazioni di consumatori e gente comune), nel novembre del 1999 si coalizzarono a Seattle, la città che ospitava una sessione della Wto, impedendo lo svolgimento dei negoziati in vista dell’abbattimento delle barriere doganali per le merci provenienti dai Paesi ricchi. Nacque così la protesta del “popolo di Seattle”, deciso a ostacolare la mondializzazione priva di regole e improntata al neoliberismo, a ottenere la remissione del debito dei Paesi poveri e ad arginare lo strapotere delle multinazionali e l’avanzata del transgenico. Combattive e analoghe manifestazioni seguiranno nei due anni successivi: a Washington, a Praga, a Montreal, a Nizza e a Davos, al G8 di Genova del 2001. Ma l’attentato alle Torri gemelle di New York, in quello stesso anno, contribuì al tramonto del movimento, che si reinterpretò e convogliò la propria forza contestataria nella gigantesca mobilitazione per la pace che nel febbraio del 2003 vedrà scendere in piazza 110 milioni di persone nel mondo a manifestare contro la guerra. Ciò non significa che le problematiche che avevano alimentato il movimento No-global si siano esaurite né che la sua forza sia venuta meno. Tutti i movimenti globali nati in seguito, da “Occupy” ai “Fridays for future”, hanno ereditato consistenti porzioni della sua ideologia.

 

 

 

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