Sarpi, Paolo (Venezia, 1552-1623). Nato da una famiglia di modesta condizione e rimasto orfano di padre, nel 1566 asseconda la volontà della madre e decide di entrare nel convento dei serviti veneziani, dove prende il nome di Paolo (il suo nome di battesimo era Pietro) e si impegna in rigorosi studi di filosofia, teologia e diritto. Già l’anno dopo, appena quindicenne, viene inviato a Mantova, al Capitolo generale dell’ordine, dove vive per alcuni anni esercitando gli uffici di teologo del duca Guglielmo Gonzaga e di lettore di teologia nella cattedrale. Nel 1573, accusato da un confratello di sostenere tesi ereticali in relazione al dogma trinitario, subisce la sua prima denuncia all’Inquisizione romana, dalla quale viene peraltro assolto. Nel 1575, tornato a Venezia, dopo un breve soggiorno a Milano presso Carlo Borromeo, Sarpi vi insegna filosofia nel convento dei serviti, si dedica a studi matematici e scientifici (la stesura dei suoi Pensieri è avviata in questi anni), si lega d’amicizia col grande medico e anatomista Girolamo Fabrizi d’Acquapendente e coll’ambasciatore Arnaud du Ferrier, già esponente della missione diplomatica francese al Concilio di Trento e vicino ai calvinisti. Nel 1578 si laurea in teologia a Padova, mentre prosegue la sua carriera nell’ordine, all’interno del quale si schiera tra i gruppi riformatori: dopo essere stato reggente del suo convento, diventa priore della provincia veneta (1579) e successivamente, nel 1585, a Bologna, viene eletto procuratore generale dell’ordine. Trasferitosi a Roma, frequenta il padre Bellarmino e il gesuita Nicolás Bobadilla, uno dei primi compagni di sant’Ignazio, Martín de Azpilcueta, già difensore di Bartolomé Carranza, l’arcivescovo di Toledo lungamente rinchiuso in carcere con l’accusa di eresia, e il Cardinal Castagna (per pochi giorni, nel 1590, papa Urbano VII). È probabilmente all’amicizia di Bellarmino che egli dovette la possibilità di studiare documenti importantissimi per la storia del Tridentino. Ma tutta l’esperienza di questi anni, trascorsi presso l’ambiente curiale di Sisto V, fu assai significativa per Sarpi.
Tornato a Venezia, nel 1589, si dedica nuovamente agli studi scientifici, frequenta il cosiddetto «ridotto Morosini» (la dimora di Andrea e Paolo Morosini, centro di incontri e discussioni filosofiche, letterarie e politiche) e, a Padova, il circolo di Gian Vincenzo Pinelli, riprende la redazione dei suoi Pensieri, incontra Galileo Galilei e Giordano Bruno, riallaccia i legami con i filo-calvinisti dell’ambasciata francese. Una nuova denuncia all’Inquisizione si conclude anche questa volta con un’assoluzione, ma lascia a Roma strascichi di ormai incancellabili diffidenze e sospetti. Nominato vicario generale della provincia veneta (1599), Sarpi vedrà tuttavia bloccata la sua nomina a vescovo di Caorle (1600) e poi di Nona (1601). Negli anni 1606-07, assume un ruolo fondamentale nell’aspra controversia giurisdizionale che oppone Venezia al papa Paolo V. Nominato teologo canonista dalla Repubblica, ne difese le ragioni con una fitta serie di pareri e di scritti polemici. Alla conclusione della contesa (aprile 1607), ne fece un magistrale resoconto nella Istoria dell’Interdetto, apparsa postuma nel 1624. Nell’ottobre del 1607 fu vittima di un attentato ad opera di sicari pontifici. Intanto Paolo stringeva una serie di rapporti epistolari, culturali e politici tesi a gettare le basi di un’alleanza di Venezia con le forze anti-spagnole, con quello schieramento protestante che per un momento sembrava aver trovato una quinta colonna nella laguna veneta, dove non si mancava di ventilare la possibilità d’introdurre la Riforma. A parere di Sarpi, solo una guerra generale avrebbe potuto spezzare la supremazia ispano-cattolica e aprire la via a un rinnovamento anche religioso che non poteva prescindere da un concreto rapporto col mondo riformato. In questi anni la sua riflessione si sarebbe rivolta sempre più consapevolmente agli stessi fondamenti storici e teologici della Chiesa papale, dando al suo dissenso un significato di aperta rottura anche sul piano dottrinale. Mentre la stessa politica veneziana si indirizzava progressivamente per vie di più prudenti compromessi, Sarpi manteneva la sua intransigenza anticuriale, che lo induceva a ricercare nel passato, antico e recente, nella storia della Chiesa, delle sue dottrine e delle sue istituzioni, il lento affermarsi della supremazia papale, di quella pretesa autorità universale che egli amava definire come il «totato». È in queste complesse tensioni problematiche, religiose e politiche, che affonda le sue radici il capolavoro sarpiano, L’Istoria del Concilio tridentino, il cui manoscritto, trasportato nel 1618 in Inghilterra, vi fu pubblicato l’anno seguente a cura di Marcantonio De Dominis, già vescovo di Spalato, passato all’anglicanesimo. Evidente era il significato ideologico di questo testo, nel momento in cui tutta l’Europa s’incendiava e la guerra dei Trent’anni avviava il violento scontro frontale tra mondo cattolico e mondo riformato; per giunta tale significato era sottolineato dal titolo apposto all’opera da De Dominis: Istoria del Concilio tridentino, nella quale si scoprono tutti gli artifici della corte di Roma per impedire che né la verità di dogmi si palesasse, né la riforma del Papato e della Chiesa si trattasse, di Pietro Soave Polano (anagramma di «Paolo Sarpi Veneto»). Sarpi negò ostinatamente di essere l’autore dell’Istoria, che venne subito inserita nell’Indice dei libri proibiti. Si apriva così lo scontro tanto atteso dal servita veneziano; ma già nel 1620 l’occupazione spagnola della Valtellina isolava pericolosamente Venezia dai suoi collegamenti protestanti, la costringeva a una politica di ripiegamento, mentre la sua stessa classe dirigente si divideva e prendeva le vie ormai irreversibili di una cauta politica difensiva. Sarpi vedeva deluse negli ultimi anni di vita molte delle sue attese e speranze. Ormai malato, moriva il 15 gennaio 1623, dopo aver preso la comunione, ma rifiutando confessione ed estrema unzione.