Rifeudalizzazione. Cominciò a impiegare questo termine Ruggiero Romano (in un saggio del 1962, intitolato Tra XVI e XVII secolo, pubblicato nella «Rivista storica italiana») per indicare l’insieme dei fenomeni economici e sociali che si manifestarono come tendenza generale nell’Italia del Seicento; Rosario Villari lo utilizzò a sua volta per ricostruire la storia del Regno di Napoli nella prima metà del secolo (La rivolta antispagnola a Napoli. Le origini, 1585-1647, 1967).
Su certe implicazioni della parola ci sono stati dissensi e discussioni (parlare di rifeudalizzazione implicherebbe che in una fase storica precedente il dominio feudale si fosse interrotto, il che non sembra del tutto vero), ma il processo storico che con essa si vuol sottolineare risulta chiaro, al di là della questione terminologica. E precisamente: venute meno nel Seicento la notevole ricchezza di iniziative economiche e la promozione di forze nuove che avevano caratterizzato i secoli precedenti, si aprì una grande «offensiva feudale» (l’espressione è di Villari): nel Sud la «congiuntura negativa» che investì l’intera Europa si trasformò in una «regressione permanente», estendendosi in misura decisiva il potere dei baroni. Altri storici hanno ripreso il termine e l’hanno applicato a zone precise d’Europa, come la Polonia, o d’Italia, come il Regno di Napoli.