Rivoluzione francese


Rivoluzione francese. Espressione con la quale si indica l’insieme degli avvenimenti che interessarono la Francia alla fine del XVIII secolo, destinati ad avere conseguenze di grande importanza in tutta l’Europa.

All’origine del fenomeno si possono individuare diverse cause, tra le quali la mancanza in Francia delle riforme sociali, politiche e culturali che il diffondersi dell’Illuminismo aveva invece favorito in altri Paesi europei. Generata da tale mancanza, la già forte tensione fra l’opinione pubblica e il governo si trasformò in aperta rivoluzione quando, alla fine della guerra d’indipendenza americana, lo Stato francese, pur trovandosi dalla parte dei vincitori, si scoprì fortemente indebitato. Secondo il sistema fiscale vigente, che risaliva al Medioevo, due dei tre “stati” in cui era divisa la popolazione, e precisamente la nobiltà e il clero, erano esenti da imposte, mentre tutto il peso della fiscalità era sostenuto dal Terzo stato (la borghesia). Quest’ultima riuscì a ottenere che su tale questione venissero convocati gli Stati generali (l’assemblea consultiva, di origine feudale, che disponeva dell’autorità di limitare il potere del re nell’imposizione di tasse e tributi al popolo), cosa che avvenne a Versailles il 5 maggio del 1789; ma gli attriti fra i primi due stati e il terzo divennero subito evidenti, anche perché quest’ultimo, numericamente superiore rispetto agli altri due ordini, non era riuscito a imporre il voto per testa in sostituzione del voto per ordine (come da tradizione), che vedeva invariabilmente trionfare la coalizione del Primo e del Secondo stato. Al rifiuto dei primi due stati di unirsi al terzo, quest’ultimo, che rappresentava quantitativamente la maggioranza della popolazione francese, si autoproclamò Assemblea nazionale (17 giugno 1789) contro il potere della nobiltà e del clero; quando il re ordinò la chiusura della sala in cui l’Assemblea teneva le proprie riunioni, i delegati si spostarono nella vicina sala adibita al gioco della pallacorda, dove giurarono solennemente di non sciogliersi se non dopo aver dotato la Francia di una Costituzione (Giuramento della pallacorda, 20 giugno 1789), dando vita di fatto all’Assemblea nazionale costituente.

La tensione si trasferì ben presto alla piazza, e il 14 luglio la popolazione insorse conquistando la fortezza parigina della Bastiglia; le sommosse si estesero anche alle campagne, saldandosi ai precedenti moti di protesta, e l’anarchia e i disordini travolsero l’intero Paese, con violenze, massacri, calunnie di ogni genere; il controllo degli organi dello Stato passò a demagoghi spesso prezzolati, che aizzavano la folla e ne venivano aizzati. Molti nobili fuggirono precipitosamente all’estero, e i loro beni vennero sequestrati e venduti ai borghesi benestanti, che furono in tal modo indotti a sostenere la permanenza al potere dei rivoluzionari. La confisca e la nazionalizzazione dei beni della Chiesa cattolica provocarono un feroce conflitto tra la Chiesa stessa e il governo francese. Frattanto l’Assemblea costituente aveva dato vita a una monarchia costituzionale basata sul principio della distinzione dei poteri: al re quello esecutivo, a un’assemblea quello legislativo, a una magistratura elettiva quello giudiziario. Per mettere alla prova la buona fede del re, l’Assemblea (soprattutto per iniziativa dei girondini, il partito che prendeva nome dal dipartimento della Gironda), gli impose di muovere guerra a Francesco II d’Austria, nipote di sua moglie, la regina Maria Antonietta; l’esito negativo delle prime azioni di guerra accumulò i sospetti di tradimento sul sovrano francese, che nel 1792 venne aggredito alle Tuileries, arrestato e processato (verrà ghigliottinato nel gennaio del 1793). Da quel momento le condanne senza processo presero il sopravvento, traducendosi, per iniziativa di Danton, nel massacro indiscriminato di quanti erano stati chiusi in carcere, indipendentemente dal fatto che fossero realmente colpevoli o solo sospettati di essere controrivoluzionari.

Intanto la Francia, dopo la morte del re e per iniziativa della Convenzione (la nuova Assemblea costituzionale e legislativa), si era proclamata Repubblica (21 settembre 1792), mettendo in allarme gli altri Paesi europei che strinsero una coalizione in funzione anti-francese capeggiata dall’Inghilterra. Ma anche all’interno del Paese i problemi continuavano a non mancare: la regione della Vandea insorse contro la Repubblica, e gli estremisti – i giacobini – presero il sopravvento sui più moderati girondini, che, accusati di aver tentato di salvare la vita del re, furono costretti alla fuga. Rimasti padroni della Francia, con l’appoggio del Comune di Parigi, schierato su posizioni ultra-rivoluzionarie, i giacobini presero in mano la situazione e assunsero una serie di iniziative il cui intento era quello di salvare il Paese. Il Comitato di salute pubblica dominato da Robespierre riorganizzò l’esercito, istituì la leva di massa, impose nuove tasse ai ricchi, operò perquisizioni, organizzò l’assistenza sociale ai più poveri, introdusse l’istruzione elementare gratuita e obbligatoria, abolì la schiavitù nelle colonie; ma la sua azione repressiva fu estremamente violenta, con la condanna alla ghigliottina di molti girondini e della regina Maria Antonietta, con la distruzione delle città ribelli (Lione, Nantes, Tolone) e il massacro dei loro abitanti, e con l’introduzione della “legge dei sospetti” (primavera del 1794), in virtù della quale era sufficiente, appunto, un sospetto per essere condannati al patibolo.

Il gruppo dirigente dei rivoluzionari vittoriosi fu però presto lacerato dai dissidi interni: alla morte di Marat, ucciso da una giovane provinciale che voleva vendicare l’eccidio dei girondini (13 luglio 1793), Robespierre, i cui poteri erano assoluti, si trovò di fronte all’opposizione dei cosiddetti “indulgenti”, capeggiati da Danton, che volevano allentare le misure più drastiche anche per l’insistenza del mondo degli affaristi che agiva nell’ombra; un altro fronte dell’opposizione era rappresentato dai cosiddetti “arrabbiati”, schierati, al contrario, su posizioni estremistiche e anarchiche. Contro entrambi Robespierre fu intransigente: dopo aver condannato alla ghigliottina Danton, insieme a molti componenti del suo schieramento e di quello degli arrabbiati, proseguì sulla strada inflessibile dell’eliminazione degli avversari politici; instaurò il culto dell’Ente Supremo e si propose di “mondare” la rivoluzione da tutti coloro che l’avevano infestata e corrotta. Un suo incauto discorso pubblico, nel quale annunciava nuove drastiche epurazioni, fornì però l’occasione a quanti si sentivano minacciati dalle sue posizioni estreme per coalizzarsi contro di lui: il 9 termidoro (27 luglio 1794) un colpo di Stato abbatté la dittatura di Robespierre che il giorno seguente fu messo a morte con i suoi fedelissimi. Fu la fine del cosiddetto “Terrore” e delle sue leggi crudeli: chi le aveva sostenute e fatte rispettare fu a sua volta messo a morte, mentre sul fronte estero la coalizione internazionale anti-francese vedeva molti Paesi riappacificarsi con la Francia.

La situazione interna restava però molto tesa, soprattutto per la gravissima crisi economica e finanziaria imperante; alla borghesia non sarebbe dispiaciuto mantenere in piedi un governo repubblicano moderato, ma il nuovo pretendente al trono, Luigi XVIII, avanzò le proprie pretese emanando un proclama che suscitò la reazione della stessa borghesia. Il tentativo dei monarchici di impadronirsi del potere fu stroncato da un giovane generale, Napoleone Bonaparte, al quale l’organo esecutivo del nuovo governo, il Direttorio, aveva affidato l’incarico di puntare sull’Italia con una piccola armata. Le vittorie strepitose riportate dal giovane condottiero costrinsero l’Austria a capitolare (Campoformio, 1797) e rimpinguarono con i nuovi tributi provenienti dalle regioni italiane appena conquistate le sempre esauste casse dello Stato francese. Il Direttorio però stava diventando sempre meno popolare, mentre cresceva, per contro, la popolarità del giovane Bonaparte: venne perciò deciso di assecondare il suo progetto di una grande spedizione in Egitto, che si proponeva come scopo finale la distruzione dell’Inghilterra. Le mosse maldestre del Direttorio durante la spedizione d’Egitto, però, oltre a vanificare i vantaggi conseguiti dalle precedenti campagne militari, finirono per screditare definitivamente lo stesso organo di governo, che Napoleone, tornato improvvisamente dall’Egitto, esautorò e sciolse con un colpo di Stato: al posto del Direttorio fu instaurata una nuova magistratura, costituita da tre consoli e capeggiata dallo stesso Napoleone, che doveva dare alla Francia una nuova Costituzione (1799). Cinque anni più tardi nasceva l’Impero, e la rivoluzione poteva dirsi conclusa: tanto il Consolato quanto l’Impero riconobbero l’avvento al potere della borghesia, sia contro i tentativi di restaurazione monarchica, sia contro le intenzioni di riscatto dei ceti popolari (il cosiddetto Quarto stato).

I princìpi della Rivoluzione francese (sintetizzati nel motto «Libertà, uguaglianza, fraternità») non rimasero circoscritti alla Francia, ma esercitarono la loro influenza sui principali Paesi europei contribuendo a determinare la successiva storia del mondo occidentale.

 

 

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