Schiavi, schiavitù. Propriamente la schiavitù è la condizione dell’individuo considerato dal punto di vista giuridico come proprietà privata di un altro individuo e conseguentemente privo di ogni diritto e soggetto alla volontà del suo proprietario o padrone.
La schiavitù è un’istituzione presente presso molte società umane anche molto diverse tra loro, e perciò è difficile indicarne una definizione universalmente valida. In senso molto generale, così come essa appare nell’ottica della storia europea, la schiavitù può essere definita come una particolare forma di sfruttamento del lavoro umano praticata già nel mondo antico: oltre che in Egitto e nei grandi regni del Vicino Oriente, anche in Grecia e a Roma. Il sistema sociale ed economico basato sulla schiavitù è detto schiavismo.
In Grecia era consuetudine ridurre in schiavitù i prigionieri di guerra e i condannati per debiti e altri reati; schiavi erano i figli di coppie di schiavi, e la schiavitù era un’istituzione ben presente soprattutto nelle città (molto meno nelle campagne); gli schiavi lavoravano nelle case come domestici, ma erano anche impiegati nei lavori più duri e faticosi, per esempio nelle miniere. Potevano essere liberati grazie alla magnanimità del padrone o quando riuscivano a raggranellare la somma necessaria per pagare il proprio riscatto. In una situazione analoga si trovavano gli schiavi nell’antica Roma; qui era tipica la presenza di schiavi impiegati in mansioni culturali (bibliotecari, amanuensi, maestri, segretari ecc.), e frequentemente erano schiavi coloro che esercitavano professioni ai nostri occhi elevate (come medici, ingegneri, professori e simili). A differenza di quanto accadeva in Grecia, il padrone a Roma aveva sullo schiavo una potestà assoluta, paragonabile a quella del pater familias nei confronti di tutti i suoi familiari e beni. Quando uno schiavo veniva liberato (o “manomesso”, come si diceva) era chiamato liberto.
Il diffondersi degli ideali morali della filosofia stoica e poi del cristianesimo fece progressivamente decadere l’istituzione della schiavitù nel Medioevo; essa tuttavia continuò a esistere e ad avere un’importante funzione economica soprattutto nelle grandi proprietà fondiarie e nelle case private. Il commercio degli schiavi venne esercitato dapprima dai mercanti orientali, poi, a partire dal IX secolo, soprattutto dai veneziani. Nel pieno Medioevo la schiavitù sopravvisse principalmente nell’ambito dei servizi domestici e nel ruolo degli addetti alla guardia del corpo dei grandi signori; e fu in tal senso che essa conobbe una nuova importante espansione nel XIII secolo, anche grazie al fenomeno delle invasioni mongoliche che fecero moltiplicare il numero dei prigionieri di guerra.
Le esplorazioni e le conquiste portoghesi in Africa incrementarono notevolmente il commercio di schiavi, principalmente sudanesi, che venivano trasportati in Europa via mare: Lisbona divenne il maggior mercato di schiavi europeo.
Con la scoperta dell’America la schiavitù conobbe una nuova fase di espansione in quanto diventò lo strumento più efficace per assicurare ai dominatori lo sfruttamento agricolo delle colonie impiantate nel Nuovo Mondo (vi venivano utilizzate sia la forza-lavoro indigena sia quella di schiavi reclutati in Europa tra i condannati e deportati in Sud-America).
Un freno alla riduzione in schiavitù degli indigeni fu posto dall’intercessione del missionario domenicano Bartolomeo de Las Casas, vescovo di Chiapas, presso il re di Spagna Carlo V; grazie a nuove leggi lo sfruttamento degli indigeni come schiavi rallentò notevolmente, ma agli indigeni vennero sostituiti gli schiavi provenienti dall’Africa (è il fenomeno della cosiddetta “tratta degli schiavi”). Alla tratta degli schiavi è legata l’espansione delle piantagioni di canna da zucchero in Brasile e nelle Antille. Il commercio di schiavi africani in America conobbe la sua massima espansione nel corso del XVIII secolo, ad opera principalmente di francesi e inglesi. Si calcola che alla fine del Settecento nel continente americano si trovassero circa tre milioni di schiavi africani (ma bisogna considerare che l’altissimo tasso di mortalità aumenta notevolmente il numero degli individui deportati dal continente d’origine).
Frattanto però l’Illuminismo favoriva la diffusione di una riflessione sulla condizione schiavile di tanti esseri umani, e tra i ceti più colti prendevano piede posizioni abolizioniste, ossia favorevoli alla cancellazione o almeno alla riduzione del fenomeno: nel 1807 in Inghilterra fu abolita la tratta marittima, e nel decennio successivo la scelta inglese venne seguita dagli Usa, dai Paesi Bassi, dalla Svezia, dalla Francia e via via da altri Stati. La soppressione della tratta portò in breve tempo all’abolizione della schiavitù nei pochi Paesi occidentali in cui era ancora praticata e nelle colonie d’oltremare. Il Brasile, detentore di ricchissime piantagioni di caffè, fondate sulla forza-lavoro schiavile, fu tra gli ultimi Stati ad abolirla. Nel continente africano la schiavitù, fenomeno di dimensione endemica, rimase in vigore presso alcune comunità e popolazioni.
Il tema della schiavitù e la durissima vita degli schiavi hanno spesso ispirato la letteratura: nel mondo antico schiavi estrosi e pieni di iniziativa animano la commedia greca e latina, mentre nella tragedia greca l’idea della schiavitù è associata al terribile destino degli sconfitti in guerra che vengono fatti prigionieri e trasformati in schiavi dei vincitori (è la sorte che tocca anche a donne e bambini, per esempio nelle tragedie di Euripide legate al ciclo troiano, come Ecuba o Le troiane). Tipico è poi il caso di quanti, rapiti dai pirati, vengono venduti come schiavi e affrontano varie avventure fino all’agnizione e alla liberazione finali, come avviene in molti romanzi di età tardo-antica o in alcune novelle di Boccaccio e di Bandello. Una nuova prospettiva, anche letteraria, sull’istituzione della schiavitù si impone con la conquista del Nuovo Mondo: l’utilizzo di schiavi per le piantagioni di cotone e di canna da zucchero raggiunge l’apice, paradossalmente, proprio durante l’Illuminismo, che considerava la schiavitù un’aberrazione contro la natura e la ragione (Montesquieu, Lo spirito delle leggi, 1748; Voltaire, Candido, 1759). Celebri personaggi schiavi sono in letteratura il selvaggio Venerdì in Robinson Crusoe (Defoe, 1719) e lo zio Tom nella Capanna dello zio Tom (Beecher Stowe, 1852); anche Mark Twain, nelle Avventure di Huckleberry Finn (1885), dedica alcune vivaci pagine alla storia della liberazione di Jim, il buon schiavo fuggiasco amico di Huck.
Il tema della schiavitù ha poi avuto ampia diffusione nel cinema americano, che lo tratta sia con toni più o meno velatamente razzisti (La nascita di una nazione, diretto da Griffith, 1915; Via col vento, diretto da Fleming e tratto dal romanzo omonimo di Margaret Mitchell, 1933), sia con intenti storici e di denuncia, in alcune pellicole più recenti (Mandingo, diretto da Richard Fleischer, 1975; Amistad, diretto da Steven Spielberg, 1997; Beloved, diretto da Jonathan Demme, 1998; Lincoln, diretto da Steven Spielberg, 2012; 12 anni schiavo, diretto da Steve McQueen, 2013; The Birth of a Nation – Il risveglio di un popolo, diretto da Nate Parker, 2016).
Vedi anche servitù.