BIOGRAFIE

Alfieri, Vittorio


Alfieri, Vittorio (Asti, 1749-Firenze, 1803). Nato da genitori nobili, prima ancora di compiere un anno perdette il padre; passata la madre a nuove nozze, fu affidato alla tutela dello zio Pellegrino Alfieri. Dopo essere stato educato fino ai nove anni nel palazzo paterno sotto la guida di un precettore, nel 1758 fu mandato a proseguire gli studi nell’Accademia Reale di Torino, collegio per i nobili. Ne uscì definitivamente nel 1766, e fu subito nominato «porta-insegna» nel reggimento provinciale di Asti. Dal 1766 al 1772 viaggiò a lungo in Italia e all’estero. Nel 1766 fu a Milano, Firenze, Roma; nel 1767-68, a Napoli, Bologna, Venezia, Padova, in Francia, in Inghilterra, in Olanda, in Svizzera; dopo una sosta in Piemonte, durante la quale si dedicò allo studio degli illuministi francesi e alla lettura di Plutarco, ripartì nel maggio del 1769 per l’Austria, la Germania, la Danimarca, la Svezia, la Russia; si spinse fino a Pietroburgo, e di lì si volse indietro diretto, attraverso Germania e Olanda, a Londra, ove giunse nel novembre del 1770. Il soggiorno londinese, durato sino al luglio 1771, fu movimentato dalla vicenda amorosa con Penelope Pitt, conclusasi con un duello tra Alfieri e il visconte Edward Ligonier, marito della donna. Poi Alfieri si mise di nuovo in viaggio: attraversò l’Olanda e la Francia, e visitò Spagna e Portogallo (a Lisbona strinse amicizia con l’abate Tommaso Valperga di Caluso, che lo incoraggiò a intraprendere la carriera di scrittore). Tornato stabilmente a Torino nel maggio del 1772, raccolse intorno a sé un gruppo di amici a formare una sorta di accademia letteraria, nella quale presentò un suo scritto, composto a più riprese tra il 1773 e il 1775, l’Esquisse du jugement universel (“Abbozzo del giudizio universale”). Legatosi intanto con un vincolo amoroso che sopportava con fastidio, e che troncò nel 1775, a Gabriella Falletti di Villafalletto, moglie del marchese Turinetti, Alfieri si trovò nel febbraio del 1774 ad assisterla durante una malattia: mentre la vegliava, ideò una tragedia, Cleopatra, e ne abbozzò una prima stesura, che ebbe la redazione definitiva nella primavera del 1775 e fu rappresentata nel giugno del medesimo anno al teatro Carignano di Torino. Il successo dell’opera (che sarà in seguito ripudiata dall’autore) sollecitò Alfieri ad applicarsi con entusiasmo allo studio dei classici italiani e a nuove composizioni tragiche. Nel 1775 ideò tre tragedie, Filippo, Polinice, Carlo primo; abbandonata quest’ultima a metà della stesura in prosa francese, stese invece interamente in prosa prima francese e poi italiana le prime due, che mise in versi nell’anno successivo, durante un soggiorno in Toscana (Pisa e Firenze), nel medesimo periodo in cui venne ideando Antigone, Agamennone, Oreste, Don Garzia. Tornato a Torino nell’ottobre 1776, tradusse gran parte del De coniuratione Catilinae (“La congiura di Catilina”) di Sallustio, e verseggiò l’Antigone, che lesse alla società letteraria «Sampaolina». Nel maggio 1777 si rimise in viaggio per la Toscana: durante il percorso ideò la tragedia Virginia; a Siena, ove strinse l’amicizia più profonda della sua vita con Francesco Gori Gandellini, stese l’Agamennone, l’Oreste, la Virginia, ideò La congiura de’ Pazzi, compose il trattato Della tirannide. In novembre conobbe a Firenze la principessa prussiana Luisa di Stolberg-Gedern, moglie di Carlo Edoardo Stuart, conte di Albany e pretendente al trono d’Inghilterra: se ne innamorò e, trasferitosi sul finire del 1777 a Firenze, prese a frequentarla. Poco dopo dette avvio alle pratiche necessarie per sottrarsi alla dipendenza dal re di Sardegna, al quale era soggetto, in quanto nobile, con vincoli assai stretti di vassallaggio: ottenne quanto desiderava cedendo in donazione, in cambio di una pensione vitalizia, le sue proprietà, anche feudali, alla sorella Giulia. Negli anni 1778-80 verseggiò la Virginia, l’Agamennone, l’Oreste, stese e verseggiò La congiura de’ Pazzi e il Don Garzia; ideò, stese e mise in versi altre tragedie (Maria Stuarda, Rosmunda, Ottavia, Timoleone); intraprese la composizione del poema L’Etruria vendicata, che continuerà negli anni successivi, e del trattato Del principe e delle lettere, che, dopo una lunga interruzione, riprenderà nel 1785 e completerà l’anno dopo. Nel 1781, seguendo la contessa d’Albany che si era allontanata dalla casa del marito, si trasferì a Roma. Qui compose le prime quattro odi dell’America libera (poema lirico in esaltazione della lotta americana per l’indipendenza); mise per la seconda volta in versi alcune tragedie degli anni precedenti; ideò, stese e verseggiò, entrambe nel 1782, la Merope e il Saul; entrò in contatto con scrittori e uomini di cultura; recitò la parte di Creonte in una rappresentazione della sua Antigone inscenata da nobili attori dilettanti; fu ascritto all’Arcadia col nome di Filacrio Eratrastico. Nel maggio del 1783 il cardinale di York, cognato della contessa d’Albany, scoperta la vera natura dei legami che univano la donna ad Alfieri, fece sì che questi fosse indotto a lasciare Roma. Al dolore per l’allontanamento dall’amata si aggiunse quello provocato dagli attacchi dei letterati romani e dall’accoglienza generalmente ostile che i critici riservarono al primo volume, uscito nella primavera del 1783, di un’edizione di dieci sue tragedie, voluta e curata da lui medesimo. Alfieri vagò per l’Italia, visitando le tombe dei massimi poeti, incontrando illustri letterati e scrittori (a Padova Cesarotti, a Milano Parini e Pietro Verri), componendo, a Venezia, la quinta ode dell’America libera, replicando con versi pungenti ai suoi detrattori, stendendo, a Siena, la Risposta alla lettera sulle sue tragedie indirizzatagli da Ranieri de’ Calzabigi, scrivendo rime d’amore e di dolore; poi si mise in viaggio per la Francia, e da lì passò in Inghilterra.

Nel maggio del 1784 tornò in Italia, e nell’agosto di quell’anno poté ritrovarsi con la contessa d’Albany a Colmar, in Alsazia. Ideò allora l’Agide, la Sofonisba, la Mirra. Nell’autunno del 1784 subì prima la perdita dell’amico carissimo Gori Gandellini e poi un nuovo distacco dall’amata, costretta a fissare la propria dimora a Bologna; si ritirò allora a Pisa, dove stese l’Agide. Nel 1785 scrisse il Panegirico di Plinio a Traiano e il Parere sull’arte comica in Italia; nell’autunno del medesimo anno tornò in Alsazia, ove stese e versificò la Sofonisba e la Mirra, versificò l’Agide, ideò altre due tragedie, il Bruto primo e il Bruto secondo, e la «tramelogedia» Abele, scrisse il dialogo La virtù sconosciuta, incominciò a comporre le Satire. Alla fine del 1787 si trasferì a Parigi, dove si era stabilita la contessa d’Albany. Durante il soggiorno parigino verseggiò i due Bruto, stese l’Abele, celebrò con l’ode Parigi sbastigliato (1789) i primi trionfi rivoluzionari, curò la revisione e l’edizione delle tragedie (1787-89) e di altre sue opere, fra le quali la prima parte delle Rime, e compose la prima parte della Vita (1790). Deluso dagli sviluppi che aveva preso il regime rivoluzionario, nel 1792 fuggì dalla capitale francese e si stabilì definitivamente a Firenze.

Nell’ultimo decennio della vita si dedicò, oltre che a traduzioni dal latino (Virgilio, Terenzio) e dal greco (Eschilo, Sofocle, Euripide, Aristofane), all’elaborazione delle Satire, alla stesura dei versi e delle prose antifrancesi che costituiranno il Misogallo (1793-98), alla composizione dell’ultima tragedia, Alceste seconda (1798-99), e delle sei Commedie di argomento politico (1800-1802), all’ordinamento della seconda parte delle Rime, alla revisione della prima e alla stesura della seconda parte della Vita.

 

 

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