Voltaire (pseudonimo di François-Marie Arouet; Parigi, 1694-ivi, 1778). Filosofo e scrittore francese. Di famiglia borghese, si formò presso i gesuiti e venne destinato agli studi legali, ma li abbandonò presto per dedicarsi interamente alla letteratura; le sue tragedie Oedipe (“Edipo”, 1718) e Marianne (“Marianna”, 1725) gli assicurarono il successo. Nel 1726 però fu costretto a lasciare Parigi a seguito di un contenzioso con un nobile, il cavaliere di Rohan, che dopo un litigio lo aveva fatto bastonare da un servo; lo scrittore lo aveva sfidato a duello, ma era stato rinchiuso nella Bastiglia, dalla quale venne liberato solo a condizione che lasciasse la città. Voltaire si trasferì allora in Inghilterra, dove restò fino al 1729, frequentando le personalità più in vista dell’epoca. Nel 1728 nel poema Henriade (“Enriade”) celebrò il sovrano Enrico IV; nel 1734, tornato in Francia, esaltò nelle Lettres philosophiques ou lettres sur les anglois (“Lettere filosofiche o lettere sugli inglesi”) i princìpi di tolleranza politica e religiosa che vigevano in Inghilterra, opera per la quale ricevette un mandato di arresto. Costretto a fuggire di nuovo, fu in Svizzera e poi in Lorena. Quando, nel 1735, la condanna venne revocata, poté dedicarsi con particolare intensità a una ricchissima e varia produzione che spazia dalla filosofia alla storia, dalla politica alla letteratura. Nel 1750 fu presso Federico II di Prussia a Berlino, dove pubblicò Le siècle de Louis XIV (“Il secolo di Luigi XIV”, 1751); ma presto i suoi rapporti con il sovrano si guastarono, e nel 1753 dovette lasciare anche la Prussia. Dopo vari spostamenti, tornò in Svizzera e si stabilì dapprima presso Ginevra, nella villa che egli battezzò «Les délices», poi nel castello di Ferney, in territorio francese ma prossima al confine svizzero; di quegli anni sono il poema La pucelle (“La pulzella”, del 1755, parodia della storia di Giovanna d’Arco), la meditazione in versi La loi naturelle (“La legge naturale”, 1756), il saggio di filosofia della storia Essai sur les moeurs (“Saggio sui costumi”, 1756). Solo nel 1778, ormai celebrato in tutta Europa come patriarca dell’Illuminismo e membro dell’Académie (nella quale era entrato già nel 1746), fece ritorno a Parigi, dove venne rappresentata trionfalmente la sua ultima tragedia, Irène, e dove poco dopo morì.
La sua intera opera, pur variegata e multiforme, è caratterizzata da una profonda unità; le composizioni letterarie e teatrali ebbero importanza soprattutto in quanto strumenti di divulgazione delle sue idee filosofiche e politiche. Per il teatro si possono ricordare, oltre alle opere già citate, Brutus (“Bruto”, 1730), Mahomet (“Maometto”, 1732), Les Scytes (“Gli Sciti”, 1767); tra i testi di narrativa spiccano i racconti e romanzi brevi Zadig (1748), Micromégas (“Micromega”, 1752), Candide ou l’optimisme (“Candido o l’ottimismo”, 1759), L’ingénu (“L’ingenuo”, 1767), che con vivace umorismo satireggiano la vita politica dell’epoca e sono ancora oggi tra le sue opere più famose; tra gli scritti in versi ricordiamo, oltre a quelli già menzionati, il Discours sur l’homme (“Discorso sull’uomo”, 1738) e il Poème sur le désastre de Lisbonne (“Poema sul disastro di Lisbona”, 1756). Fondamentali sono poi le opere filosofiche, politiche e storiografiche, come gli Éléments de la philosophie de Newton (“Elementi della filosofia di Newton”, 1736), che rivendica l’importanza dell’osservazione scientifica; il Traité sur la tolérance (“Trattato sulla tolleranza”, 1763); il Dictionnaire philosophique (“Dizionario filosofico”, 1764); le Idées républicaines (“Idee repubblicane”, 1763); l’ABC (1768).
Alla ricchezza e profondità del suo pensiero, che ne fanno uno dei massimi pensatori francesi, al suo vigore polemico e alla sua verve satirica indirizzata soprattutto contro la metafisica, si aggiunge un linguaggio di straordinaria freschezza, diretto e immediato, che modellò la lingua letteraria dei suoi successori e contribuì alla fama del francese come lingua di grande brio e vivacità.