America. Il nome fu coniato dal geografo Martin Waldseemüller nel 1507 in onore di Amerigo Vespucci, per indicare il nuovo continente scoperto nel 1492 da Cristoforo Colombo, e, se usato al plurale (Americhe), indica la parte settentrionale, quella centrale e quella meridionale del Nuovo Mondo; nel parlare comune, spesso America, al singolare, sta per America settentrionale o addirittura soltanto per Stati Uniti.
Agli occhi degli intellettuali europei l’America presentò fin dalla sua scoperta molti aspetti diversi. In principio, al momento della conquista, le Americhe vennero associate all’idea delle Isole felici, di un mondo ricchissimo di materie prime che venne identificato con l’Eldorado, il Paese dell’oro, e paragonato all’Eden, il Paradiso in Terra. Agli europei poi l’America appariva come una terra vergine e selvaggia, da scoprire ma anche da cristianizzare, e nella quale era possibile provare a realizzare il sogno e l’utopia, creando comunità ideali che spesso furono fondate da missionari e da religiosi. Storicamente però quelle comunità ideali, e in generale la scoperta e la conquista delle Americhe, furono in moltissimi casi realizzate ai danni delle popolazioni indigene, decimandole e riducendole in schiavitù. Quando si cominciò a prendere coscienza di questo fenomeno, all’immagine del Nuovo Mondo come terra felice si affiancò nella letteratura tra Seicento e Settecento anche quella dei conquistatori come feroci devastatori delle civiltà locali e della felicità primitiva degli indigeni.
Per gli europei l’America assunse in seguito anche un altro importante significato, apparendo come l’incarnazione della libertà e della ricchezza: gli Stati Uniti sono considerati da sempre il Paese in cui i due aspetti – la libertà individuale e collettiva, da un lato; la possibilità di fare fortuna e arricchirsi, dall’altro – sembrano ideali raggiungibili per chiunque abbia la volontà e le capacità necessarie. Perciò il Paese ha attirato immigrati da ogni parte del mondo, allettati dalla possibilità di ottenere la libertà e il benessere; e qui forse più che altrove si sono sperimentati modelli di convivenza fra culture diverse, che vanno dall’affiancamento di tradizioni di varia origine alla fusione di esse (melting pot) in nuove culture comuni. Alla forza attrattiva esercitata dall’America nei confronti degli immigrati ha contribuito anche l’immensità degli spazi americani, l’idea di un Occidente sconfinato (il Far West, il «lontano Ovest»), la cui frontiera coincide con i limiti dell’espansione e quindi si dilata continuamente in quanto mobile e inafferrabile.
Quello della frontiera è uno dei grandi miti americani che ha alimentato una ricca fioritura di testi letterari e cinematografici (ispirati alla “Corsa all’oro” e al contrasto tra la figura del pioniere e quella dell’indiano nativo, caratteristici di un genere specifico, il western). Collegato a quello delle terre sconfinate dell’Ovest è il tema della natura selvaggia che molti scrittori americani hanno posto al centro della loro opera: gli scenari delle praterie immense (non solo del Nord-America, ma anche del Sud: la pampa argentina, per esempio), le estensioni delle foreste, delle montagne, delle lande desolate (wilderness) danno un’impronta inconfondibile a molti romanzi ambientati in America, e suscitano fascinazione ma anche sgomento.
Accanto agli aspetti positivi e idealizzati dell’America, d’altronde, in letteratura trovano naturalmente spazio anche quelli negativi. Il Nuovo Mondo è un Paese giovane e aperto al futuro, ma proprio per questo è caratterizzato da tutti i risvolti più inquietanti della modernità: è il prototipo della società industriale, governata dalle regole dell’automazione e pronta a scivolare nell’ingiustizia sociale, nello sfruttamento del lavoro, nella sopraffazione e nella corruzione, nella devastazione dell’ambiente naturale. Il rango di grande potenza, che rende determinante la posizione degli Stati Uniti nel mondo, fa sì che il loro coinvolgimento sia inevitabile in ogni controversia o momento di crisi e di conflitto, ma li rende anche soggetti al giudizio severo di tutte le altre comunità, e ha favorito in diverse occasioni la manifestazione di atteggiamenti di forte antiamericanismo in svariati Paesi.
Agli aspetti e ai temi fin qui menzionati hanno dedicato la loro riflessione scrittori, filosofi, storici, sociologi, registi, sia europei sia americani, che hanno contribuito con la propria opera a definire l’identità dell’America: dai narratori della Conquista (Bartolomé de Las Casas o il meticcio Garcilaso de la Vega, tra Cinque e Seicento) ai grandi romanzieri ottocenteschi che ambientano in America alcuni dei loro testi narrativi (Chateaubriand con Atala e Viaggio in America, Dickens con L’America, Twain con Le avventure di Huckleberry Finn, De Amicis con Sull’Oceano, Melville con Moby Dick ecc.), dai registi (come Chaplin con Tempi moderni) agli scrittori europei novecenteschi (come Kafka, autore dell’incompiuto romanzo America), senza trascurare gli autori sudamericani (come Gabriel García Márquez e innumerevoli altri).