Censura. Il termine, dal latino census, «censo», indicava nell’antica Roma la magistratura avente mansioni di censimento e amministrazione finanziaria. È poi passato a indicare il controllo esercitato dalle autorità sulle opere dell’ingegno da pubblicare, rappresentare, esporre, diffondere con i mezzi più vari; tale controllo ha lo scopo di evitare offese allo Stato, alla morale e alla religione. Con lo stesso nome si indica anche l’ufficio che esercita tale controllo. Il controllo della censura è tanto più stringente quanto più autoritari sono i regimi e i governi degli Stati che lo esercitano. Nella Chiesa cattolica la censura viene esercitata dall’autorità ecclesiastica per accertare che le opere di cattolici ed ecclesiastici siano conformi alla dottrina religiosa.
Da questi significati la parola è poi passata, nell’uso corrente, a designare qualsiasi critica severa o manifestazione di biasimo.
Anche in psicologia si usa il termine censura, da quando Sigmund Freud lo introdusse per definire l’azione di una parte della personalità dell’individuo, il Super-Io, volta a respingere, a reprimere e a dimenticare impulsi, idee e ricordi, tenendoli al di fuori del dominio della coscienza: la censura psicoanalitica si può perciò definire una funzione dinamica del Super-Io che impedisce l’espressione degli istinti provenienti dall’inconscio. Freud ha parlato in particolare di «censura onirica» nel suo studio L’interpretazione dei sogni (1900): partendo dall’idea che il sogno sia il soddisfacimento fittizio di desideri segreti, il Super-Io esercita un controllo (detto appunto «censura onirica») sul sogno stesso, in modo che i desideri di natura aggressiva e sessuale, ritenuti immorali nello stato di veglia e rifiutati dalla coscienza, si manifestino durante il sonno in una rappresentazione simbolica che li deforma fino a renderli irriconoscibili.