PAROLE DELLA LETTERATURA

classico


Classico. A Roma, nella lingua latina, la parola classicus si riferì inizialmente alla divisione, che esisteva nella popolazione romana, in «classi» o classes (in genere cinque o sei), imposta dal re Servio Tullio sulla base della capacità di pagare tributi: dai più ricchi ai meno ricchi. Classicus in questo contesto venne a significare «appartenente alla prima classe, a quella più elevata»: «classici dicebantur non omnes qui in quinque classibus erant, sed primi tantum classis homines» (così scriveva Aulo Gellio, grammatico del II secolo d.C., citando Catullo). Presto si sviluppò anche un uso metaforico del termine, che venne applicato ad altri ordini di classificazione e non più solo a quello sociale. Cicerone, per esempio, nelle Academicae Questiones, parla di certi filosofi stoici, come «quintae classis» (di quinta classe), se paragonati a Democrito. Aulo Gellio, citando Cornelio Frontone, distingue fra uno «scriptor classicus adsiduusque» (scrittore classico e adsiduus, dove adsiduus significa appartenente alle classi più ricche ed elevate) e uno «scriptor proletarius» (scrittore proletario): il primo scrive in una lingua pura per i pochi; il secondo scrive per i molti. A questo punto è evidente che il termine viene ormai applicato alla letteratura, per indicare gli scrittori di alto prestigio.

All’inizio del Cinquecento, in Europa, il termine venne ripreso (per la prima volta forse dall’umanista tedesco Beatus Rhenanus nel 1512) per indicare gli autori antichi, con l’idea che essi fossero superiori ai moderni. Melantone nel 1519 definiva Plutarco «classicus auctor». Fonseca, arcivescovo di Toledo, parlava di Agostino come di un «auctor ex classicis» (1528).

Nella tradizione moderna e nel linguaggio della critica il termine ha una serie di significati diversi.

1. Classico con il significato di «grande», «di prim’ordine». Il concetto è più antico della parola. Aristofane, per esempio, nelle Rane (405 a.C.), contrappone il vecchio e buon tragediografo Eschilo al modernizzante e decadente Euripide. Alla fine del V secolo a.C. Cherilo di Samo parla della propria opera epica come inevitabilmente inferiore a quella dei fondatori del genere, Esiodo e Omero. Ad Alessandria, nel III secolo a.C., gli eruditi della Biblioteca cominciarono a compilare liste di autori «accettati», o pínakes, «canoni di autori prestigiosi»; per esempio, i sette grandi poeti lirici (sette come le Pleiadi) o i nove grandi poeti lirici (nove come le Muse) e i dieci grandi oratori, tutti appartenenti al passato: nessun vivente poteva entrare a far parte di tali liste. Una versione modificata di questa tradizione è quella rappresentata da alcuni scrittori medievali che, attorno all’XI secolo d.C., cominciarono a compilare elenchi di autori latini appartenenti all’età dell’oro, a quella argentea, a quella di bronzo.

2. Classico con il significato di «ciò che viene letto nelle scuole». Già i greci e i latini avevano autori ritenuti esemplari, modelli di scrittura. Nel VI secolo, Magno Felice Ennodio parla di uno studente che frequenta una «classe» scolastica come di un «classicus»: ecco il termine allargarsi verso un nuovo significato, collegato con le strutture educative (di qui la denominazione di liceo classico). Si veda Leopardi, nello Zibaldone: «È un curioso andamento degli studi umani, che i geni più sublimi liberi e irregolari, quando hanno acquistato fama stabile e universale, diventino classici, cioè i loro scritti entrino nel numero dei libri elementari, e si mettano in mano de’ fanciulli».

3. Classico come termine per indicare le opere più grandi, le opere principali e più significative, prodotte nei momenti di maggior sviluppo di una letteratura. È l’idea stessa che sta dietro al «classicismo» rinascimentale. Nel 1548 Thomas Sébillet, nell’Art Poétique Françoys, parla di Alain Chartier e Jean de Meung come di «bons et classiques poètes françoys» (buoni e classici poeti francesi). Angelo Segni, nei suoi Discorsi fiorentini (1581), parla di «autori classici e toscani». In inglese il termine compare alla fine del Cinquecento; in tedesco solo nel Settecento.

4. Età classica, nelle storie letterarie, indica i periodi di massima fioritura poetica.

5. Classico come stile, caratteristica formale di certe opere. Ecco la definizione di Francesco De Sanctis: «Immaginarono uno schema artificiale ed immobile di composizione, la cui base fu posta in una certa concordanza del tutto e delle parti, come in un orologio, e questo chiamavano scrivere classico».

5. Classici sono spesso detti i libri che fanno parte di collezioni o raccolte di opere: i classici italiani, francesi, ecc.

6. Per estensione: classico viene usato per indicare un fatto, un oggetto, un avvenimento considerati genuini, tipici, tradizionali: «aspettava la cena nella classica poltrona», «la Milano-San Remo è una gara classica del ciclismo», ecc.

Sul concetto di classico sono importanti le prese di posizione del poeta anglo-americano Thomas Stearns Eliot, che fu al tempo stesso uno dei protagonisti dell’avanguardia modernista, un riformatore molto influente del canone della poesia inglese (riscoprendo i metafisici del Seicento e sminuendo Milton e i romantici) e un sostenitore della tradizione (definendosi monarchico in politica, anglicano in religione e classicista in letteratura). Penetranti le osservazioni di Italo Calvino, il quale sostiene che i classici sono quegli autori le cui opere non si leggono mai per la prima volta, si rileggono.

Vedi anche canone con i relativi rimandi.

 

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