Industriale, rivoluzione. Espressione con la quale in ambito storiografico si indica la profonda trasformazione sociale, politica ed economica cui andò incontro la società europea passando da un’economia di tipo agricolo e commerciale a una di tipo industriale, caratterizzata dall’uso di macchine, di fonti energetiche nuove e da una marcata evoluzione tecnologica.
Quella che è nota come prima rivoluzione industriale si manifestò in Inghilterra a partire dalla seconda metà del Settecento, grazie alla convergenza di fattori che fin dalla prima metà del secolo avevano dato vita alle basi di una forte crescita del Paese: l’aumento della produttività agricola, l’incremento demografico, l’innalzamento del commercio con l’estero, il concentrarsi della ricchezza finanziaria, l’intensificarsi delle innovazioni tecnologiche applicate all’industria manifatturiera (che vide uno straordinario innalzamento produttivo dei settori tessile e metallurgico, grazie all’avvento della macchina a vapore e alla meccanizzazione della produzione), l’abbondanza di materie prime in loco (come il carbone da cui ricavare energia) e d’importazione (come il cotone grezzo proveniente dall’impero coloniale inglese). Le conseguenze sociali di tali mutamenti furono estremamente rapide: all’aumento della popolazione dei centri urbani e al concentrarsi dei lavoratori nelle fabbriche si affiancò lo sfruttamento della forza-lavoro (anche femminile e infantile), attuato secondo le modalità organizzative del nuovo sistema di fabbrica, nel quale funzioni, orari (in media dalle 13 alle 15 ore lavorative giornaliere) e ritmi erano definiti in base alle esigenze dettate dalla divisione del lavoro. Privi di alcuna forma di tutela o protezione, gli operai ricevevano salari molto bassi (quelli delle donne e dei bambini lo erano ancora di più). La grave problematica sociale derivante da tale situazione trovò espressione sia nelle denunce degli intellettuali e dei politici di tendenza liberale o socialista sia nei movimenti di protesta delle masse operaie – alcuni dei quali estremi come il luddismo – , ma bisogna attendere gli anni Trenta-Quaranta dell’Ottocento perché il governo inglese dia corso alle prime moderate riforme (la riduzione della giornata lavorativa a 10 ore per i bambini al di sotto dei 10 anni e per le donne, la limitazione dell’attività lavorativa notturna). In sostanza, la prima rivoluzione industriale ebbe come conseguenza un profondo mutamento di tutto il sistema economico e dell’intera organizzazione sociale, i cui riflessi immediati furono il formarsi di una nuova classe, quella operaia, che riceveva un salario in cambio del proprio lavoro e del proprio tempo, e la nascita del capitalismo industriale, composto dai proprietari delle fabbriche e dei mezzi di produzione; la classe dominante diventò dunque la borghesia imprenditoriale, che soppiantò ai vertici della scala sociale l’antica classe nobiliare.
L’estendersi dell’industrializzazione – che dall’Inghilterra raggiunse dapprima il Belgio, alcune zone della Francia e della Germania, poi altri territori tedeschi, l’Italia del Nord, alcune aree dell’Impero austro-ungarico e di quello russo, il Giappone e gli Stati Uniti – determinò l’avvento della cosiddetta seconda rivoluzione industriale a partire dagli anni Settanta dell’Ottocento. Questa, caratterizzata dall’uso sempre più diffuso dell’elettricità, dall’invenzione del motore a combustione interna e dall’impiego del petrolio come nuova fonte energetica, vide una rapidissima crescita di Paesi come la Germania e gli Stati Uniti, ai quali la Gran Bretagna dovette cedere il primato. Fu questa l’epoca della produzione di massa e delle fabbriche con migliaia di addetti, al cui interno schiere di dirigenti, tecnici e impiegati con mansioni direttive e amministrative si affiancavano alle masse operaie, garantendo la massima efficienza nell’organizzazione del lavoro. Finalizzate alla crescita del rendimento e al controllo del mercato, alleanze tra settori produttivi (trust e cartelli) si formarono a livello nazionale e internazionale, mentre il capitalismo finanziario, nato dall’unione dei grandi patrimoni bancari e dell’industria, irrompeva sulla scena dell’economia mondiale. In un contesto del genere, dominato dalla concorrenza, nei singoli Paesi industrializzati si affermavano le strategie difensive a salvaguardia della produzione interna (come le barriere doganali) e iniziava l’era del protezionismo. La rivalità politico-economica accentuava inoltre il fenomeno dell’imperialismo e le sue mire espansionistiche (in termini di accaparramento di materie prime e di sbocchi commerciali), dapprima nei territori sottoposti a regime coloniale, poi nello stesso continente europeo (come fu ampiamente mostrato dallo scoppio del primo conflitto mondiale).
La cosiddetta terza rivoluzione industriale – significativamente riferita all’età post-industriale – si è affermata nella seconda metà del XX secolo nei Paesi maggiormente sviluppati e ne ha trasformato le modalità del vivere, di produrre e di lavorare grazie all’avvento dell’elettronica e dell’informatica da cui è scaturita l’era digitale. Caratteristica della terza rivoluzione è la preminenza del settore terziario dell’economia (già negli anni Novanta tale settore occupava oltre il 70% della forza-lavoro statunitense). La tecnologia informatica, che consente di automatizzare i processi produttivi, da un lato ha favorito una produzione varia e sofisticata (diversa da quella standardizzata della precedente età industriale), dall’altro ha cominciato a richiedere addetti specializzati e sempre più qualificati, che si distinguono per le loro competenze professionali (tecniche, ingegneristiche, manageriali) e per le capacità di innovare e progettare. La fabbrica ha ceduto il posto al laboratorio e al centro di ricerca, e la produzione accentrata di un tempo si è frammentata nei mille appalti concessi dalle multinazionali a imprese esterne, spesso aventi sede nei Paesi in via di sviluppo (dove la manodopera costa meno e i salari sono più bassi). Si parla in tal senso di globalizzazione – tratto caratteristico della terza rivoluzione e della società post-industriale, sempre più interconnessa –, in virtù della quale la circolazione di idee e prodotti trova sempre meno barriere da abbattere lungo il suo percorso.
Quella che da più parti viene invocata come la quarta rivoluzione industriale è tuttora in corso e si delinea come la compenetrazione, alla base di molti prodotti e servizi ormai indispensabili, tra mondo fisico, digitale e biologico, o meglio come il sommarsi dei progressi raggiunti negli ambiti dell’intelligenza artificiale, di Internet of Things (IoT, in riferimento a oggetti collegati a Internet, capaci di raccogliere e trasmettere dati online), della stampa 3D e dell’ingegneria genetica. Dal convegno dello World Economic Forum di Davos (gennaio 2016), intitolato «Mastering the Fourth Industrial Revolution», è nata la definizione di «Industria 4.0» che indica nella crescente integrazione dei sistemi cyber-fisici nei processi produttivi lo strumento indispensabile dello sviluppo dell’attività industriale e manifatturiera.