Periodo elisabettiano. Viene così chiamato il periodo del regno di Elisabetta I in Inghilterra (1558-1603), contraddistinto in ambito politico dall’ascesa della potenza inglese e in quello letterario e culturale da una straordinaria fioritura che prosegue anche sotto il regno di Giacomo I (1603-1625).
È questa l’epoca del romanzo Euphues di John Lyly (1578); della raccolta di ecloghe di Edmund Spenser The Shepherd’s Calendar (“Il calendario del pastore”, 1579); del romanzo pastorale Arcadia (iniziato nel 1580) di sir Philip Sidney; della produzione lirica di John Donne (1573-1631); della monumentale Anatomy of Melancholy (“Anatomia della malinconia”) di Robert Burton, pubblicata nel 1621; della New Atlantis (“Nuova Atlantide”), il racconto utopico di Francis Bacon, pubblicato nel 1627. Ciascuno di questi autori costituisce, per motivi diversi, un punto di riferimento nello sviluppo della letteratura inglese.
Il genere che ha tramandato l’immagine più efficace del periodo elisabettiano è però sicuramente quello teatrale, che nell’arco di circa mezzo secolo (1580-1642) portò in scena un migliaio di lavori. Tra i drammaturghi si distinsero dapprincipio i cosiddetti university wits («ingegni universitari»), come George Peele, Thomas Kyd e Robert Greene; le scene furono però dominate per un ventennio principalmente dai 37 capolavori di William Shakespeare, di poco più anziano di loro. Fra i suoi contemporanei figurano George Chapman, Ben Jonson, John Marston, e in seguito si distinguono Thomas Dekker, Thomas Middleton, John Webster, John Fletcher. La loro produzione, straordinario specchio della cultura e della società dell’epoca, venne interrotta bruscamente nel 1642, quando i teatri vennero chiusi, in quanto luoghi ritenuti immorali, a seguito di un provvedimento richiesto dai puritani più fanatici.