Carme. Italianizzazione del termine latino carmen (dal tema di canĕre, «cantare»), il carme è una forma letteraria che a seconda delle epoche denomina diversi generi di composizione poetica.
Nella Roma arcaica, in senso lato designava la «poesia», in contrapposizione alla «prosa», e indicava propriamente i testi solenni e rituali di carattere religioso, magico e giuridico, nonché le formule religiose e legali, che erano redatte in versi saturni. Carmina diffusi a Roma erano il Carmen arvale, un inno cantato dai sacerdoti arvali, e il Carmen saliare, dei sacerdoti salii, che costituiscono due dei testi latini più antichi a noi noti, benché molto difficili da interpretare (anche perché il testo ci è pervenuto in una forma piuttosto corrotta). Successivamente, nel mondo romano, il termine passò a indicare componimenti poetici di vario tipo: epici, lirici, pastorali, celebrativi, moraleggianti e didascalici; conosciamo, per esempio, i carmina convivalia (cantati durante i banchetti) e i carmina triumphalia (canti per la celebrazione dei condottieri vittoriosi).
Anche nel Medioevo il termine carmen fu applicato a componimenti diversi: a poemi di argomento storico o guerresco, al canto goliardico (come nel caso dei Carmina Burana), a raccolte di poesie sacre e profane. Dall’epoca di Petrarca in poi carmen venne usato di solito per indicare i versi latini in genere; ma con Foscolo si tornò a dare al termine il valore di «poesia solenne» che aveva nel latino delle origini.
In alcuni casi carme significa anche «vaticinio, profezia», e «incantesimo».
Un particolare tipo di carme è il carme figurato.