PAROLE DELLA LETTERATURA

cavallereschi, poemi


Cavallereschi, poemi. Sono così chiamati i poemi e i romanzi in prosa che hanno per protagonisti i cavalieri medievali e ne cantano le imprese eroiche e le avventure amorose. Dal punto di vista stilistico sono caratterizzati dalla presenza di interventi soggettivi dell’autore, dalla varietà dei toni (epici, burleschi, satirici) e dalla molteplicità delle azioni.

Le origini della poesia cavalleresca si collocano in Francia in età medievale. Già all’inizio del XIII secolo Jean Bodel la classificò, in base alla materia trattata, in tre cicli: carolingio, bretone, classico. Il ciclo carolingio cantava le imprese dei paladini di Carlo Magno contro gli infedeli e aveva un carattere spiccatamente epico (vedi ciclo carolingio). Il ciclo bretone aveva un carattere più romanzesco e trattava di temi amorosi legati alle avventure di re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda (vedi Bretagna, materia di). Il ciclo classico si rifaceva alle avventure dei grandi eroi della mitologia classica, rivisitate in prospettiva cavalleresca e romanzesca (vedi classica, materia). A questi cicli principali si può poi aggiungere il ciclo delle Crociate, che celebrava le imprese dei crociati in Terrasanta (vedi crociate).

La poesia cavalleresca non rimase limitata alla Francia, ma si diffuse in Spagna (influenzando il Romancero del Cid e l’Amadís de Gaula), in Inghilterra, dove ebbe molto successo soprattutto la materia di Bretagna (Arthur and Merlin, Floris and Blanchefleur), e in Germania (con poeti come Gottfried von Straßburg, autore del poema Tristan, sulla storia di Tristano e Isotta, o come Wolfram von Eschenbach, autore del Parzival ispirato al Perceval di Chrétien de Troyes).

In Italia il ciclo bretone e quello carolingio ebbero entrambi successo, ma in ambienti diversi: la materia carolingia si diffuse soprattutto in ambito popolare (e diede origine al ramo principale della letteratura franco-veneta), mentre la materia bretone ebbe successo principalmente presso le classi signorili (stando all’accoglienza del Livre de roy Meliadus, vasta compilazione romanzesca ad opera di Rustichello da Pisa, della seconda metà del XIII secolo). Molti temi, poi, carolingi, bretoni e classici, furono oggetto di cantari in volgare, composti da cantastorie per lo più anonimi (con l’eccezione di Antonio Pucci, 1310 ca-1388, e Andrea da Barberino, 1370-1431 ca).

La letteratura cavalleresca ebbe una straordinaria fioritura, in età umanistica, alla corte di Ferrara, con l’Orlando innamorato (1403-1495) di Boiardo; nello stesso filone si innestò più tardi l’Orlando furioso (1532) di Ludovico Ariosto. A partire dalla seconda metà del Cinquecento i poemi cavallereschi furono progressivamente abbandonati (con poche eccezioni: Girone il cortese di Luigi Alamanni, 1548; Amadigi di Bernardo Tasso, 1560) nel rispetto dell’imitazione classica, perché apparivano eccessivamente fantasiosi, stravaganti e lontani dai princìpi delle unità aristoteliche. Il tema delle crociate è invece al centro, ancora nel Cinquecento, della Gerusalemme liberata (1565-1575) di Torquato Tasso, che fonda il poema eroico moderno. L’ironia e la dissacrazione dello spirito cavalleresco hanno la meglio nelle opere del periodo successivo, e, sulla scia di quanto avevano anticipato Pulci (Il Morgante, 1478-1483) e Folengo (Baldus, 1517-1540; Orlandino, 1526), i poemi cavallereschi si trasformano in poemi eroicomici (Tassoni, La secchia rapita, 1622; Francesco Bracciolini, Lo scherno degli dèi, 1618-1626) avviando di fatto l’esaurimento del genere, ormai superato nei contenuti oltre che nella forma.

 

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