modernità


Modernità. Il termine deriva dal latino modernus, a sua volta da modo, «ora», e designa letteralmente il tempo presente, avendo lo stesso significato di “adesso”, “ora”; indica perciò in primo luogo la contemporaneità, contrapponendosi ad “antico”, “antiquato”. Tuttavia l’espressione si è arricchita con il tempo di significati nuovi.

Negli anni Settanta del Seicento, “moderno” è stato contrapposto ad “antico” in una celebre disputa tra letterati scatenatasi in Francia, che contrapponeva gli imitatori dei modelli antichi a quanti erano favorevoli invece a forme nuove di poesia (vedi Querelle des anciens et des modernes).

Un ulteriore arricchimento del significato della parola “moderno” si è avuto nel secolo successivo. Con il termine modernità si indica oggi infatti un periodo storico che, secondo molti studiosi, descrive la trasformazione verificatasi, con un vero salto epocale, a cavallo tra Sette e Ottocento, dopo la rivoluzione industriale in Inghilterra e quella politica in Francia. Si è trattato di una trasformazione a lungo preparata in alcune zone d’Europa (nei Comuni e nelle Signorie italiani del Tre e Quattrocento, nelle città fiamminghe e anseatiche, e in alcune altre regioni europee fra Cinque e Seicento, nel capitalismo mercantile che si è sviluppato in Inghilterra, nei Paesi Bassi e altrove durante il Settecento). Il fenomeno si è verificato dapprima in Inghilterra e poi gradualmente negli altri Paesi europei e nel continente americano, più tardi (anche a distanza di molti anni) in Giappone e in altre parti del mondo, concretizzandosi in quei processi di trasformazione economica e industriale che sono stati definiti di modernizzazione. Tali processi sono stati piuttosto lenti e in alcuni Paesi, come la Germania e l’Italia, si sono avviati solo verso la fine dell’Ottocento, in altri anche più tardi, in altri ancora non sono mai stati avviati o sono rimasti interrotti. Essere “moderni” significava, in questa accezione, accogliere con entusiasmo ogni progresso dell’umanità, abbracciare orientamenti di pensiero, artistici e letterari etichettati genericamente con il nome di modernismo, far proprie scelte d’avanguardia in campo artistico ed estetico.

L’analisi della modernità e delle sue contraddizioni è stata condotta soprattutto dai sociologi della cosiddetta Scuola di Francoforte: i tedeschi Theodor Wiesengrund Adorno, Max Horkheimer, Walter Benjamin, e il francese Michel Foucault. Intorno agli anni Settanta-Ottanta del Novecento, poi, si cominciò a capire che il mondo del capitalismo avanzato stava uscendo dalla dimensione della modernità e stava entrando in una nuova condizione, quella che il filosofo francese Jean-François Lyotard propose di chiamare «la condizione postmoderna» nel titolo omonimo del suo noto saggio (1979).

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