Peste, pestilenza. Il termine “peste” indica propriamente una malattia contagiosa molto grave, che la medicina classifica in due forme principali, la peste bubbonica (che si manifesta con l’infiammazione delle ghiandole ascellari e inguinali) e la peste polmonare (che colpisce i polmoni).
A partire dal VI secolo d.C., nei documenti di cui disponiamo, la peste vera e propria è descritta chiaramente ed è distinguibile da più generiche epidemie ad elevato tasso di mortalità, ma spesso di diversa origine, che sono invece attestate per i periodi storici precedenti.
Le più gravi epidemie di peste ricordate nell’antichità sono la peste di Atene, del 430-25 a.C., descritta dallo storico Tucidide, che ispirò anche un celebre passo di Lucrezio nel suo poema Della natura (libro VI); la peste di Siracusa, descritta da Diodoro Siculo e scoppiata tra i soldati cartaginesi che assediavano la città nel 395 a.C.; la peste di Orosio, del 128 d.C., che colpì le coste settentrionali dell’Africa; la peste antonina, descritta da Galeno, che si diffuse nel 165 tra i soldati romani in Siria e fu portata a Roma, dove imperversò fino al 180; la peste di Cipriano, manifestatasi nel 251 in Egitto, che travolse il Nord-Africa e poi l’intera Europa, e ispirò a san Cipriano vescovo di Cartagine una celebre pastorale consolatoria, il De mortalitate.
Se tutti questi casi furono probabilmente provocati dalla peste ma anche da altre malattie, la prima vera e propria epidemia sicuramente di peste fu quella dei tempi di Giustiniano, manifestatasi in Egitto e poi estesasi a Costantinopoli, alla Grecia, all’Italia e alla Gallia (542-558), della quale ci restano testimonianze in scritti di Procopio, Evagrio, Gregorio di Tours. Vera peste bubbonica fu la cosiddetta “Peste nera” del 1348, magistralmente descritta da Boccaccio nel Decameron, che scoppiò dapprima in Tartaria e si estese poi alla Cina, alla Crimea, a Costantinopoli, all’intera Italia, alla Francia e poi a tutta l’Europa; tra le sue vittime ci fu il cronista Giovanni Villani, e forse ne morì anche la Laura di Petrarca. A seguito di tale spaventosa epidemia a Venezia sorse il primo lazzaretto (1403). Da quel momento in poi la peste rimase endemica in Europa per alcuni secoli. Si ricordano in particolare le epidemie scoppiate nel 1466 in Grecia, nel 1478 a Venezia, nel 1566-67 a Milano (la cosiddetta “peste di san Carlo”), nel 1629-30 nuovamente a Milano (è la celebre peste descritta da Manzoni nei Promessi sposi, durante la quale si diffuse la diceria degli untori che gli ispirò la Storia della colonna infame), nel 1665 a Londra (descritta da Defoe nel Diario dell’anno della peste), nel 1720 a Marsiglia, nel 1770 a Mosca, nel 1797 in Ungheria, nel 1799 in Egitto (al seguito dei soldati napoleonici). Nel corso del XIX secolo la peste lasciò l’Europa (gli ultimi focolai si ebbero a Napoli nel 1815), ma continuò a imperversare in Asia, soprattutto in India e Cina, attraversò il Pacifico e arrivò a colpire San Francisco negli Stati Uniti (1894). Nel 1899 si riaffacciò anche in varie regioni europee (Londra, Amburgo, Glasgow, Marsiglia, Napoli nel 1901). Casi isolati di peste si sono manifestati nel corso del XX secolo in tutto il mondo (comprese alcune regioni che, come l’America del Sud, ne erano rimaste esenti); oggi le regioni più direttamente interessate dai focolai del morbo sono l’India e il Sud-Est asiatico, mentre altrove essi si possono dire debellati.
La letteratura del Novecento ha nel romanzo La peste (1947), dello scrittore francese Albert Camus, uno dei più rappresentativi esempi della narrazione relativa a questo tema: nell’opera, ambientata nella città algerina di Orano, la pestilenza assume la veste allegorica degli orrori della Seconda guerra mondiale e dell’occupazione nazista. La perdita della vista è invece l’epidemia che colpisce l’intera umanità nel romanzo Cecità (1995) dello scrittore portoghese José Saramago.
Vedi anche epidemia.