ricchezza


Ricchezza. La parola, da collegare etimologicamente al latino rex, «re», indica l’insieme dei beni di cui dispone chi può vivere al di sopra del livello medio, e la condizione che ne deriva. La nozione di ricchezza è strettamente collegata alle diverse culture e alle diverse forme della società: perciò il termine ha un’accezione mutevole (per esempio, l’oro, che tanto attirava i conquistatori spagnoli del Nuovo Mondo, per gli indigeni non aveva alcun valore).

In letteratura la ricchezza è di solito collegata a giudizi di natura etica o ideologica: può essere vista in senso positivo, come una benedizione divina o il frutto di un’onesta e tenace fatica, ma anche in senso negativo, come la conseguenza di un’ingiustizia, dello sfruttamento o dell’attività demoniaca. A essere condannata non è di solito la ricchezza in sé, ma la sfrenata avidità di possederla a qualunque costo: in tal senso si esprimono i poeti fin dall’antichità, come testimoniano il poeta latino Giovenale e il poeta Ovidio, quando nelle Metamorfosi racconta la storia del re Mida, che ottiene di scambiare in oro tutto ciò che tocca, o Plauto, che mette in ridicolo l’avido protagonista dell’Aulularia, la pentola dell’oro. La satira dell’arricchito e della sua volgarità trova una delle sue massime espressioni nel Satyricon, il romanzo del latino Petronio, che fa di Trimalcione la sintesi vivente di tutto ciò che di negativo è collegato alla sete e all’ostentazione della ricchezza.

Nella Bibbia la ricchezza è spesso presentata come un dono mediante il quale Dio premia i giusti. Nel Nuovo Testamento, invece, essa è un ostacolo sulla via della salvezza, e i tesori terreni sono contrapposti alla felicità del Paradiso, che è riservata ai poveri: perciò il poverissimo Lazzaro andrà in cielo, mentre il ricco Epulone sarà condannato alle pene infernali.

Con l’affermarsi del cristianesimo, con la sua istituzionalizzazione e con la progressiva organizzazione della Chiesa, però, la prospettiva cambia, e l’accumulo e la bramosia di ricchezze terrene diventano consuetudini anche per il papa e il clero, suscitando reazioni da parte dei movimenti monastici tra i quali primeggia quello di san Francesco, mistico sposo di Madonna Povertà; Dante, nella Commedia, punisce non la ricchezza in quanto tale, ma il cattivo uso che ne viene fatto, ponendo insieme, sia nell’Inferno (canto VII) sia nel Purgatorio (canto XX), gli avari e i prodighi.

Anche nella letteratura dei secoli seguenti è frequente l’avversione per la figura dell’avaro e del mercante, che si identifica spesso con l’avaro stesso e con l’usuraio: memorabili sono la figura del protagonista del Mercante di Venezia di Shakespeare, l’usuraio ebreo avido e avaro, e quella del protagonista del Borghese gentiluomo di Molière, un mercante arricchito che si sforza di sembrare un nobile.

Il tema della ricchezza compare spesso anche nella fiaba e nella tradizione folklorica, dove di solito essa appare come il riscatto di una vita di miseria, talvolta attraverso il matrimonio (spesso con la figlia o con il figlio del re, come nella fiaba di Cenerentola). Ma anche nella letteratura romanzesca dell’Ottocento il raggiungimento della ricchezza e del benessere da parte del protagonista povero e sventurato diventa un tema ricorrente, e frequentemente è associato al ritrovamento di un tesoro (come avviene nei romanzi d’avventura Il Conte di Montecristo, di Dumas Padre, o L’isola del tesoro, di Stevenson). L’Ottocento, però, è anche il secolo della trasformazione capitalistica della società, e la logica del profitto perde gran parte dei suoi connotati negativi. I romanzi realistici otto e novecenteschi trattano il tema della ricchezza descrivendo il formarsi di essa nelle grandi famiglie, la costruzione e la rovina di immensi patrimoni, i matrimoni d’interesse, le eredità contese e così via: ne offrono grandiosi esempi, in Francia, i romanzi della Commedia umana di Balzac, o il ciclo dei Rougon-Macquart di Zola, e, in Italia, i romanzi di Giovanni Verga; e ancora, nel Novecento, la saga dei Buddenbrook di Thomas Mann, molte pagine di Pirandello, La coscienza di Zeno di Italo Svevo, Il pasticciaccio di Gadda.

Nella seconda metà del Novecento il tema della ricchezza in letteratura sembra perdere la centralità che aveva avuto nei secoli precedenti; mantiene più spazio, invece, nella letteratura dei Paesi emergenti, dove spesso si intreccia con i temi della colonizzazione e della falsa prosperità portata dai colonizzatori (Gabriel García Márquez, Cent’anni di solitudine).

Vedi anche oro e povertà.

 

 

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